La storia della vite e del vino in Friuli e a San Giorgio

Dall'età Romana a quella contemporanea

Descrizione

ETÀ ROMANA II sec. a.C. - V sec. d.C.

I reperti archeologici parlano di una rudimentale preparazione del vino in varie regioni mediterranee già nel terzo millennio a.C. e la Bibbia narra la casuale scoperta di poter trarre dai grappoli di viti spontanee dei fianchi del monte Ararat una bevanda gradevole e stimolante (II millennio a.C.).

In Italia la viticoltura si diffuse fin dall’età del bronzo e assunse importanza a partire dal 2000 a.C. in Italia Meridionale e in Sicilia, da dove si esportava vino in grandi quantità. Nell’VIII-VII sec. a.C., ad opera dei Greci in Meridione e degli Etruschi nel Settentrione, la coltivazione della vite si espanse ulteriormente; i coloni greci chiamarono Enotria (terra del vino) l’Italia Meridionale; il vino veniva esportato in Paesi del bacino mediterraneo e oltralpe.

In Friuli l’impianto dei vigneti viene avviato in età romana, quando il Senato nel 181 a.C. manda i coloni a fondare Aquileia, come scrive Tito Livio negli Annales. Livio, Strabone ed Erodiano parlano più volte nelle loro opere dei bei vigneti di Aquileia. Il porto fluviale di questa città era un emporio commerciale, da cui partivano anche imbarcazioni cariche di anphorae vinariae destinate ai banchetti e ai palati più raffinati.

Notevole contributo ai progressi nella viticoltura e nell’enologia portarono gli scritti di Catone (De agricultura), Varrone (Res Rusticae), Columella (De Re Rustica), Plinio (Naturalis Historia), Virgilio (Georgica). Successivamente i vigneti appaiono più a nord, anche fino alle colline; qui, con il maggior soleggiamento ed i terreni più adatti, i vini sono di qualità superiore.

Molti termini specifici del friulano derivano dal latino: ad es., serpî, “potare” (da excerpere), folâ, “pigiare” (da follare), trapa, “vinacce” (da trapeta). I nostri antenati migliorano via via le tecniche di coltivazione della vite e di produzione del vino. Nel III-IV secolo d.C., con la crisi dell’Impero, inizia il declino della viticoltura, anche per le forti tasse cui erano sottoposti i vigneti.

I BARBARI E IL MEDIOEVO (VI-X sec.)

Quando i Longobardi giungono in Friuli (VI sec. d.C.), piantano molti vigneti. Anche se non erano dei consumatori, danno importanza al vino e tra i loro dèi pongono Bacco Leneo (l’epiteto significa “torchio”). Eliminano i piccoli boschi, anche sulle nostre colline, per avere più spazio per i vigneti. Fanno salire le viti sui pioppi, gli olmi e altri alberi che potano tutte le primavere perché l’uva maturi. Nei contratti agrari medioevali spesso si stabilisce l’obbligo di piantare delle viti.

I vigneti sono coltivati con molta cura nelle proprietà dei vescovi, dei monaci, degli ordini religiosi, della nobiltà laica. Il vino era necessario per la Messa e la comunione dei fedeli che fino al XII sec. consumavano sia il pane che il vino consacrati. Per principi e feudatari il vino era simbolo di prestigio e di cultura. In un documento del 762 si parla del tributo di cento anfore di vino che i liberi coltivatori di Medea e Cisis dovevano dare ogni anno al Monastero femminile fondato dai tre fratelli longobardi Erfo, Anto e Marco a Salt di Povoletto (UD); parte del vino veniva certamente commerciato.

Poiché le campagne erano insicure, i vigneti venivano posti nelle vicinanze o dentro le mura di città, monasteri, castelli (cfr. tracce nella toponomastica come, ad Aquileia, “Via delle Vigne Vecchie”).

IL PATRIARCATO (XI-XIV sec.)

Dopo il 1000 il vino friulano viene portato nei paesi tedeschi e nella Repubblica Veneta.
I Patriarchi di Aquileia favoriscono il commercio del vino, perché serve ai sacerdoti tedeschi per la Messa e per- ché entrano in Friuli, attraverso la dogana di Venzone, legna, carne di maiale, ingrassato con le ghiande dei boschi di querce della Baviera. Francesco Petrarca scrive che era stato a pranzo nel 1368 dal re Carlo IV di Lussemburgo e che aveva visto bere sei botti di buonissimo vino friulano. Alla fine del Medioevo il vino friulano, trasportato ormai in botti di legno più sicure e maneggevoli, veniva commerciato nei paesi del nord Europa; in alcuni documenti si parla infatti della ribolla friulana inviata ai despoti di Mosca dal Gran Maestro dei Cavalieri dell’Ordine Teutonico.

IL DOMINIO VENETO (XV-XVIII sec.)

Nel 1420 il Friuli passa sotto Venezia, che favorisce l’impianto di nuovi vigneti, perché il vino fornisce un buon reddito e permette l’acquisto di altri prodotti. In un dipinto si vede la Serenissima come una dama che riceve in regalo dal Friuli un mannello di spighe e grappoli d’uva. In un’ordinanza del 1549 Pietro Morosini, luogotenente di Venezia a Udine, raccomandava di non danneggiare le viti, perché “è la raccolta del vino e del grano che si vende e si comuta con la nazione di Germania...tal e così fruttuoso avviamento del vino si aumenti e non si minuisca”. Il senato veneziano sostiene coloro che piantano vigneti nei terreni dei Comuni, purché inseriscano tra le viti i gelsi, che servono all’alimentazione dei bachi da seta in primavera. La ribolla di Rosazzo viene offerta ad ospiti di riguardo, come Carlo V che nel 1532 passa per il territorio veneziano e ha modo di apprezzare il dono; nello stesso anno aveva sostato anche a Spilimbergo con 40 mila uomini, che avevano consumato 11 botti di vino in 15 giorni di permanenza. Nei terreni che vanno da Lestans a Pinzano sono i Conti Savorgnan che fanno coltivare la vite nel 1500 e più a sud i Conti di Spilimbergo. Nel Concilio di Trento (1545-1563) agli ecclesiastici piace molto il nostro Ucelut. Dal 1500, con la diffusione della stampa, si moltiplicano gli scritti sulla coltura della vite e la produzione del vino.

Nel 1700 gli alchimisti intuiscono il fenomeno della trasformazione del mosto in vino. Lo studioso di agricoltura A. Zanon nelle sue lettere (1767) scrive che “i vini friulani servono alle mense di tutte le nazioni della Germania, dell’Inghilterra e del Nord”. Conoscevano soprattutto i Refoschi, i Picolit, i Cividini e le Ribolle. La zona di produzione è sempre quella collinare orientale.
Nel Settecento il maggior produttore di Picolit è il conte Asquini di Fagagna che ne spedisce all’estero (alle corti di Francia, Austria, Russia, Sardegna, al Papa) più di centomila bottiglie.

I FRANCESI (XVIII-XIX sec.)

Napoleone e soprattutto i Procuratori francesi apprezzano i nostri vini in diverse occasioni.

ETÀ CONTEMPORANEA (XIX-XX sec.)

Il conte Pietro di Maniago nel 1823 scrive un catalogo con tutti i tipi di viti friulane, a seconda dell’uva e del vino che producono: da botte, da bottiglia, da pasto e divide il Friuli in tre fasce per i vigneti: collina, pianura e bassa. Dopo la metà del 1800 appaiono tre grandi malattie delle viti: oidio (muffa bianca), peronospora (un fungo) e fillossera (un insetto) e si vendemmia poco o niente.

Il maresciallo austriaco Radetzky, governatore del Lombardo- Veneto (1849-1857), manda viti veronesi e friulane nelle sue proprietà per avere migliori risultati. È Gabriele Luigi Pecile (con coltivazioni nelle tenute di Fagagna e S. Giorgio della Richinvelda) che si sforza di cambiare sistema di coltivazione: scrive, parla e dà l’esempio. Nella prima Fiera dei vini a Udine (14-16 agosto 1879) dice che questa manifestazione ha “l’iscopo di agevolare gli studi pratici sulla produzione vinifera della provincia, di promuovere e favorire in pari tempo le relazioni e gl’interessi reciproci dei produttori, dei negozianti e dei consumatori dei vini suddetti.” Nel 1888 la fillossera (diffusasi in Francia in seguito all’importazione di viti americane infette) fu localizzata nel goriziano e già nel IV Congresso enologico austriaco, tenutosi nel 1891 a Gorizia, si decise di combattere la fillossera attraverso l’innesto delle migliori varietà europee su piede americano.

Si diffondono soprattutto varietà francesi, a scapito delle varietà autoctone, di cui si salvano ben poche (tra cui il Cividino, il Picolit, il Refosco, la Ribolla, il Verduzzo).
Per qualche tempo vengono messi a dimora degli ibridi che resistono alla peronospora, come il famoso Isabella e il Clinton; successivamente innestano le nostre viti sul selvatico americano: il Berlandieri, il Rupestris e il Riparia. Botanici, patologi, entomologi, chimici trovano validi. rimedi alle varie malattie della vite con l’innesto (cfr. cap. sulla fillossera), gli antiparassitari e gli anticrittogamici.

Nella seconda metà dell’800 Pasteur getta le basi dell’enologia moderna e Liebig chiarisce il processo chimico della fermentazione. Gli studi di meccanica, fisica, biologia, chimica hanno contribuito a migliorare anche la produzione, passata dalla vinificazione familiare a quella industriale.

Nel 1923 nasce a Conegliano la Stazione Sperimentale per la Viticoltura e l’Enologia che collabora con diversi enti friulani operanti nel settore. Nel XIX e XX secolo si sono investiti via via più consistenti capitali nel commercio del vino, nell’azienda viticola e negli impianti enologici, con varie forme associative (cooperative, consorzi).

Con la nascita della Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia (1963), il settore vitivinicolo fu sostenuto con interventi finanziari stabiliti da apposite leggi; queste contribuirono alla sistemazione di quasi 23 mila ettari di vigneto specializzato, con una produzione in grado di conquistare un buon mercato, a cui si presentava con lo slogan “Un vigneto chiamato Friuli”. La richiesta di prodotti garantiti al consumatore ha determinato le leggi sulla “denominazione d’origine”, che hanno individuato per il Friuli nove zone DOC, a partire dagli anni ’70 (Carso, Collio goriziano, Colli orientali del Friuli, Friuli Aquileia, Friuli Grave, Friuli Latisana, Friuli-Annia, Isonzo, Lison-Pramaggiore). Alcune varietà autoctone sono state recuperate, a partire dal Picolit (pionieri Gaetano Perusini e il padre Giacomo nella tenuta di Rocca Bernarda a Ipplis) per proseguire con Pignolo, Refosco, Ribolla, Schioppettino, Tazzelenghe ed altri; sui pendii collinari di Valeriano, Pinzano, Castelnovo: Piculit Neri, Forgiarin, Sciaglin, Ucelut, Cividin, Cianorie (Azienda Vitivinicola Emilio Bulfon).

La storia nel Comune di San Giorgio della Richinvelda

Sec. XIX e precedenti La coltivazione della vite nel Comune si perde nella notte dei tempi; gli antichi toponimi “vigna” e “prato delle viti” (tre appezzamenti in territorio di Rauscedo) sono presenti nei Sommarioni napoleonici. Nell’elenco dei beni del monastero carinziano di S.Paolo in Lavanttal (1361), che fin dal 1091 possedeva due masi a Domanins, si fa riferimento tra l’altro al reddito di un’orna di vino per ogni maso (circa 150 litri). Per quanto riguarda le rappresentazioni artistiche, decorazioni con foglie e grappoli d’uva si trovano nell’altare di G. A. Pilacorte nella Chiesa di S. Nicolò di S. Giorgio (1497) e in un’acquasantiera, sempre del Pilacorte, della Parrocchiale di Provesano (1497).

1861 Gabriele Luigi Pecile sperimenta tra i primi nella tenuta di S. Giorgio (acquistata dieci anni prima) la solforazione contro l’oidio, muffa della vite, dopo i successi ottenuti dai Francesi.

1863 L’Associazione Agraria Friulana organizza a Udine la “Prima Mostra di uve coltivate in Friuli”, con 47 espositori e quasi 300 varietà. Sono presenti il Cividin e la Cordenosse, ottenute nei vigneti di “S. Giorgio di Spilimbergo”, di proprietà di Gabriele Luigi Pecile (presidente della Mostra).

1879 “Prima Esposizione-Fiera di Vini friulani”, organizzata a Udine dall’Associazione Agraria Friulana, con 32 espositori e 68 qualità di vini. Sono presenti due vini dei vigneti di Aurava, di proprietà di Gabriele Luigi Pecile, allora sindaco di Udine e poi deputato e senatore del Regno d’Italia; la tenuta di S. Giorgio è curata dal figlio Domenico, anch’egli sindaco di Udine e prima ancora di S. Giorgio, presente in varie istituzioni a livello locale (promotore, tra l’altro, della Cassa Rurale) e provinciale.

1880 Gabriele Luigi Pecile introduce per primo in Friuli dalla Francia il Merlot e il Cabernet, cui seguiranno l’anno dopo il Gamay e il Pinot. Domenico Pecile sperimenta con successo la poltiglia bordolese (miscela di solfato di rame e calce) come trattamento contro la peronospora (1886), fungo parassita, ed è attivo in varie istituzioni anche nella lotta contro la diffusione della fillossera.

1915 Presenza della fillossera della vite a Provesano e probabile epoca di diffusione delle prime conoscenze della tecnica dell’innesto, introdotta a Rauscedo, secondo le diverse testimonianze, da un soldato austriaco o da un caporalmaggiore piemontese o veronese o padovano (un certo Sartori) o da un pugliese, nella famiglia di D’Andrea Pietro, figlio di “Anzul Muni”.
È la Cassa Rurale di Prestiti di S. Giorgio della Richinvelda, costituitasi nel 1891 (e fino al 1954 con annesso ‘Comitato per l’acquisto di materie utili all’agricoltura’) che a partire dal 1915 mette a disposizione degli agricoltori, oltre ai concimi, le barbatelle innestate provenienti dal cantiere di Casarsa del Consorzio Antifillosserico Friulano.

1921 Esposizione di uve friulane (130 qualità) a Udine, tra cui il Cabernet franc, la Cordenossa, il Frontignan, il Merlot, la Palomba, il Pigué, il Pinot Grigio dell’Azienda Pecile di S. Giorgio, la Cordenossa, la Palomba, il Refosco di Rauscedo, dell’azienda di Luchino Luchini di S. Giorgio, il Refosco di Runchis della proprietà di Sabbadini Pietro di Provesano.

1925 -'33 I vivaisti di Rauscedo sono una trentina. Altri vivaisti sono presenti a Provesano, Cosa, Pozzo. Nel 1931 si costituisce la società di fatto “Vivai Cooperativi di Rauscedo”. Nel 1933 nasce la Società dei Vivai Cooperativi di Rauscedo con 90 soci.

1936 Costituzione legale dei “Vivai Cooperativi di Rauscedo” con 53 soci fondatori. 1948 Produzione di più di tre milioni di barbatelle ai VCR.

1949 Da Società di natura civile, i Vivai Cooperativi di Rauscedo diventano Società a responsabilità limitata. Anni '50 Inizio della lavorazione dei magredi del Tagliamento, Cosa e Meduna e costruzione della rete irrigua ad opera del Consorzio di Bonifica Cellina-Meduna di Pordenone. Formazione dei lotti ed impianto dei primi vigneti.

1951 Costruzione della Cantina Sociale di Rauscedo.

1953 Inaugurazione della Cantina Sociale “Vini San Giorgio”.

1957 Dalla Cassa Rurale, che fino a questa data si è occupata anche dell’acquisto e distribuzione di prodotti vari per l’agricoltura, nasce un’altra società, il Circolo Agrario Cooperativo, che subentra ad essa in questo settore specifico.

1959 Le due Cantine (di S. Giorgio e Rauscedo) entrano a far parte della Società Cooperativa “Friulvini”.

Anni '60 e '70
Estensione delle colture viticole in tutti i magredi del Comune.

Nel 1967 nasce il Centro sperimentale dei VCR con programmi di selezione clonale in collaborazione con gli Istituti di ricerca del settore vitivinicolo. Inclusione della produzione locale nella zona DOC “Friuli Grave”.

1990 Inizio dell’omologazione dei cloni “VCR”, prodotti dal Centro sperimentale di Rauscedo.

Anni '90 Tecnica della paraffinatura e pacciamatura e nuovi macchinari permettono una migliore produzione di barbatelle e alleviano le fatiche dei vivaisti. Si raggiungono i 50 milioni di viti innestate che vengono esportate in oltre 20 paesi del mondo da parte dei Vivai Cooperativi, della Cooperativa “Vitis” (sorta nel 1985) e di altri vivaisti del Comune.

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Pagina aggiornata il 22/05/2024